domenica 14 novembre 2010

Piacere, sono il Male

Chiamatemi il Male.
Sono il villain del dramma teatrale.
L’antieroe che dovete e volete detestare. La figura odiosa e spregevole. Colui che disprezzate perché rappresenta tutto ciò da cui avete imparato a tenere le distanze. Sono l’anti-modello. Sono io, il vostro capro espiatorio.Quello su cui puntare il dito, da cui distinguersi.
Senza di me, voi non sareste nulla. Vi sono indispensabile perché se non ci fossi non sareste capaci di definire voi stessi. Lo sapete, e non siete abbastanza forti da sopportarlo. Avete un assoluto bisogno di me, ma io di voi posso fare a tranquillamente a meno.
E’ per questo che sono io a sedere sul trono del mondo. E' per questo che è mio, e non vostro, il potere di controllarvi.

mercoledì 29 settembre 2010

La sveglia

Esattamente alla solita ora da cinque anni a questa parte, la sveglia si scatena. Ogni santo giorno mi tormenta con quel suo fastidiosissimo trillo, ed ogni santo giorno mi riprometto di disfarmene. Arrivo persino a minacciarla verbalmente: “Questa me la paghi, stronza!” le urlo contro, ma lei resta lì, immobile ed insofferente ad ogni lamentela ed insulto. Sembra quasi fissarmi con aria di sfida. So che ci prova gusto e per questo la odio.
LA ODIO. Odio con tutto me stesso ogni singolo ingranaggio che compone i suoi diabolici meccanismi.
Il quadrante è insignificante: completamente bianco, non presenta traccia di un qualunque, anche del più misero, tentativo di abbellirlo. Non un disegno, una scritta. Niente. Non riporta nemmeno i giorni della settimana. Ci sono solo le lancette. Come due sottili frecce nere impegnate nel perenne inseguimento di una dell’altra e destinate a vedersi beffare ogni volta che si sovrappongono solo per riallontanarsi, la lancetta dei minuti e quella dei secondi quasi non si distinguono l’una dall’altra. Quella delle ore, invece, è tozza e rossa come il sangue. Tronfia si muove in circolo senza badare alle altre due, consapevole che è lei a fare la differenza: è da lei che l’allarme riceve ordini ed attende un suo segnale per scattare.

lunedì 20 settembre 2010

Trova le differenze

Guillaume Apollinaire

Paolo Borsellino

La scatola

Tobia, il cagnolino di Eli, di certo non brillava per intelligenza. Basta pensare a come perde subito di vista la pallina che gli si lancia a pochi centimetri dal muso o a come si ferisca continuamente cercando di azzannare i ricci che trova nel giardino. Stavolta però aveva dimostrato la sua utilità.
Giampi ed Eli, esasperati dal continuo, decisero di abbandonare per un po’ il loro nuovo album da colorare ed uscire a vedere chi o cosa attirava così insistentemente l’attenzione del cucciolo.
Sarebbe più corretto ammettere che solamente Eli colorasse, per altro con poca cura per l’estetica, il suo album, attribuendo a se stessa, e non alla chimica delle pagine, le doti magiche che facevano cambiare inchiostro al pennarello a seconda della porzione di disegno su cui faceva scorrere freneticamente la punta. Intanto Giampi aspettava impaziente il suo turno per esercitarsi nelle sue abilità magiche con il pennarello. Turno che sospettava non sarebbe mai arrivato.

mercoledì 15 settembre 2010

Un'insolita classica storia

Infuriato il Re percorreva a passi veloci l’immenso atrio del palazzo. La Regina cercava di mantenersi al suo fianco, ma invano, e affannata pregava il marito perchè ritrovasse la calma.
“Mi dispiace cara, ma stavolta ha oltrepassato ogni limite e non riuscirai a portarmi dalla sua parte, non questa volta! Sono stanco dei suoi capricci e della sua insolenza!” – diceva il Re tirando a sé il mantello che lo rallentava strisciando a terra.
“Ma, mio Signore asc…” – aveva iniziato a dire la Regina prima che il Re raggiungesse la sala Consigliare e si sbattesse la porta alle spalle, lasciandola fuori. “Non può continuare a trattarmi come una serva!” pensò tra sé la Regina tornando sui suoi passi, ma ripensando alla figlia e alla terribile discussione che aveva avuto con il padre, tornò a bussare alla porta. “Mio Signore, Ti prego, cerca di ragionare…” – Non ottenne risposta. Sapeva che per qualche ora il Re non sarebbe uscito da quella stanza e, arrabbiata a sua volta per il modo in cui era stata trattata, decise che per il momento la cosa migliore era ritirarsi nelle proprie stanze.

venerdì 12 marzo 2010

La Voce

Mercoledì 2 Giugno 2004

Un fastidioso rumore non mi lascia chiudere occhio. Comincia a ronzarmi nelle orecchie nel dormiveglia, quando sono ancora sufficientemente suscettibile agli avvenimenti esterni da infastidirmi, ma troppo annebbiato per intervenire a farlo tacere. Lo strano biascicare mi intrattiene con la sua spiacevole compagnia tutta la notte, consapevole che mai lo ostacolerei nel suo incessante lavorio notturno. Senza accorgermene poi, verso le ore mattutine, mi addormento, ma quella presenza non abbandona mai completamente i miei pensieri e la sensazione di dover fare qualcosa per scacciarla scava come un tarlo nel mio inconscio...

martedì 2 marzo 2010

Commento al post "Spezzare gli equilibri" di Chiara

Chiara, una cara amica, dopo aver letto il mio post “Spezzare gli equilibri”, lo ha riletto, commentato e criticato, facendo un lavoro enorme e di certo non risparmiandosi. Pubblico allora qui di sotto il suo lavoro, sperando di guidarvi in una lettura più critica del post, e perché ricevere trattamenti del genere fa sempre piacere!

Per prima cosa, Chiara ripropone il testo con delle piccole modifiche di sintassi e nuovi dislocamenti per alcune parti del pezzo.

ANALISI DEL TESTO

[a] Eravamo al cinema quando per la prima volta ci esaminammo senza particolare simpatia, ma provando uno strano senso di solidarietà; fu in quel momento che registrammo, attraverso una breve occhiata, la nostra rispettiva solitudine. In fila tutti stavano a due a due. Coppie felici di giovani amanti, sposini, genitori con i bambini, nonni con i nipoti. Tutti, chi per mano, chi a braccetto, si stringevano gli uni agli altri. Solo le nostre mani erano libere, sciolte da qualunque legame, da sempre estranee al contatto fisico al punto di smettere di bramarlo, preferendo rifugiarsi nelle tasche. [a]

Eravamo soli, consapevoli della nostra solitudine.

[*]Bastò una seconda rapida occhiata, un incrocio di sguardi, per percepire che in quell’attimo le nostre vite venivano intrecciate dalla mano di uno scrittore impacciato, il quale, smosso forse da compassione, stava donando ai suoi personaggi, quell’unica opportunità di risollevarsi dal piattume. In quel momento di eternità le nostre vite ci apparvero nella loro interezza e banalità, annientarono la distanza che ci separava e ci legarono l’uno all’altra in un modo completamente diverso rispetto agli altri.// Nei suoi spenti occhi, come in un libro aperto, potevo leggere la storia della sua e della mia vita. [*] Potevo scrutare la sua anima ad un livello così intimo che mi sentii colpevole per aver profanato alcuni di quei fragili territori che tutti celiamo nel profondo e ai quali impediamo a chiunque di accedere. Sapevo dell’inesistente rapporto con i suoi genitori e di come non si accorgessero di lei, se non quando necessitavano di qualcuno su cui scaricare addosso i problemi della famiglia. [b]Sapevo che ogni notte prima di addormentarsi desiderava svegliarsi altrove, in un mondo sconosciuto, diverso dal suo, e che invece il disgusto si impadroniva di lei quando, appena sveglia, riconosceva il soffitto della camera ed in preda al senso di nausea vomita nel secchio posto di fianco al letto. Sapevo di quello che provava quando, entrando in classe, osservava dalla porta il suo banco, isolato in fondo alla stanza senza nessuno vicino e dell’imbarazzo di dover passare in mezzo ai suoi compagni senza essere degnata di uno sguardo. Sapevo infine che aveva smesso di guardarsi allo specchio per paura che anche la sua immagine riflessa potesse un giorno voltarle le spalle e sfumare nel vetro, lasciandola completamente sola. Sola come ero io. [b]

Vivere la sua vita, percepirne il dolore come se fosse il mio,stabilì un collegamento al quale nessuno dei due poteva più sottrarsi: eravamo in balia di noi stessi e dell’altro senza poter fare nulla per svincolarsi. Allo stesso tempo però percepivamo un senso di sicurezza mai provato prima. Capire che esisteva nel mondo una persona alla quale affidare completamente ogni particella del proprio essere ci dava una nuova speranza.//

***

Non riuscivo più a respirare. Le mani mi sudavano e stringevano con forza la stoffa interna delle tasche, compulsivamente. Mi sentivo svenire e le orecchie mi ronzavano come se la testa mi si fosse completamente svuotata.

Improvvisamente tutto, all’interno del cinema, si immobilizzò. Un silenzio mortifero dissolse in un istante ogni suono e rumore. Le risa della gente che poco prima risuonavano come trombe nella hall si spensero completamente. Le voci si ammutolirono.

Come parte di un unico essere, tutti si voltarono verso di noi con occhi accusatori. Il legame che io e lei avevamo con arroganza stabilito, metteva il loro, fatto di strette di mano e abbracci, su un piano inferiore. Tutti quei gesti di affetto si indignavano di fronte alla nostra sfrontatezza. Ogni coppia si lanciava sguardi di intesa e tornava a rivolgersi a noi con via via maggiore severità. Dovevamo essere puniti. Voci di bambini sussurravano ad orecchie paterne o materne che non dovevamo fare così, che i loro gesti innocenti dovevano valere di più. Coppie di anziani spifferavano tra i denti ingialliti che il loro amore, duraturo da moltissimi anni, non doveva assolutamente subire il confronto con il nostro. Giovani coppiette ci squadravano con disprezzo mentre si prodigavano in volgari baci sul collo, abbracci e palpate di ogni genere per accogliere il favore di chi la pensava come loro e mostrarci come si doveva fare. Dal corteo si levavano voci urlanti: “Chi vi credete di essere voi?”, “Voi non sapete un cazzo!”, “Sì! Siete solo due sfacciati!”, “Chi vi da il diritto di metterci in ridicolo?”.Non sapevo che fare e rimanevo fermo, immobile, mentre venivamo circondati. Le urla si facevano sempre più forti, e gli animi si scaldavano. La nostra offesa metteva in crisi un sistema di equilibri troppo radicato nei rapporti e che non ammetteva di essere messo in discussione per un unico caso, per quanto eccezionale. Era necessario estirpare il problema alla radice.

Mi sentii, per la prima volta nella mia inutile vita, disposto a combattere per essa; //ma quando mi voltai verso di lei, le forze e tutta quella nuova determinazione, mi abbandonarono.

Se ne stava immobile, scura in volto, mentre lo sguardo basso fissava il suolo. Le mani erano strette in saldi pugni e le braccia in tensione tremavano parallele ai fianchi. [c]Singhiozzava e le lacrime le rigavano il viso rosso per la vergogna.

In un lampo mi si avvicinò a pochi centimetri e mio fissò con gli occhi ancora lacrimanti, ma che bruciavano dentro – “Perché mi fai questo? Ti prego, lasciami sola…” – “Mi dispiace,” – dissi con voce rotta – “ma non posso…” – “Perché? Cosa ti ho fatto?” – “Io ti amo…”. Sentendomi pronunciare quelle parole esitò: per un attimo i suoi occhi assunsero l’espressione più dolce che avessi mai visto e le labbra sottili le disegnarono sul viso un fragile sorriso. Distolse dai miei i suoi occhi e mi colpì al volto con uno schiaffo. Solo allora mi baciò.[c]

***

Quando riaprimmo gli occhi tutto era tornato alla normalità. Ci guardammo intensamente e, mentre ci scambiavamo quel secondo ed intenso bacio, di una cosa eravamo certi: non saremmo mai più stati soli.

COMMENTO

Ciao Mattia!

intanto scusa il ritardo: finalmente ho messo le mani su un computer degno di questo nome! ;) Premetto che tutto, critiche commenti modifiche, sono impressioni dettate solo dal mio modo di sentire e che quindi sono sostanzialmente relative.

Inoltre, nel momento in cui si parla d’amore, tendo a diventare più scettica e pignola. Siamo costantemente drogati d’amore: canzoni, libri, film trovano in questo argomento universale e bistrattato la loro ragione d’essere e, soprattutto, di essere venduti. Tutti pretendono di saperne parlare, ma troppo spesso il risultato è solo un amore con la a minuscola, anonimo, superficiale, banale, che si muove su schemi predefiniti o comunque prevedibili, patetici e rassicuranti.

Quindi non te la prendere se sono ipercritica, è anche l’argomento che aiuta..;)

Cominciamo col dare un senso ai colori:

- di fucsia ho evidenziato le frasi che ho modificato leggermente (punteggiatura, sintassi..)

- di giallo quelle che ho spostato;

In particolare nel punto * mi sembrava che anticipassi un concetto creando un leggero “disordine logico” . Mi spiego meglio: la successione logica sarebbe:

sguardoà mescolamento vite/annientamento distanzeà lettura attraverso gli occhi di lei della vita di lei (o di lui).

nell’originale invece sembrava:

sguardoà lettura nei suoi occhi della vita di lei (di lui)à mescolamento vite/annientamento distanze.

(…..dettagli!)

- di verde ho evidenziato le frasi che ho trovato ridondanti, che tendono a calcare troppo concetti che ottengono unicamente un effetto di pateticità….diciamo un “effetto Moccia”.

Il “punto a” insiste esageratamente sul contrasto compagnia/solitudine.

Il “punto b” esaspera la situazione della ragazza.

Il “punto c” è la tipica scena da romanzetto rosa, è la parte in cui mandi definitivamente a puttane un’idea che potrebbe essere sostanzialmente buona.

- di azzurro ho sottolineato la parte che mi ha dato più problemi dal punto di vista dei contenuti e che quindi non ho ritoccato a livello formale per paura di alterarne il senso.

Il testo perde progressivamente di credibilità: da una prima parte realistica e verosimile - parte1 - (due ragazzi soli al cinema, un incrocio di sguardi, la consapevolezza di essere nella stessa dolorosa situazione, e quindi la solidarietà, il sentirsi vicini, uniti) si arriva ad una situazione sempre più onirica - parte 2 e 3 - (la dichiarazione del ragazzo di poter leggere nella mente di lei, l’attacco da parte della gente del cinema). Poi, in un bacio, l’incubo finisce: il protagonista chiude gli occhi e tutto torna alla normalità – parte 4 – [le diverse parti a cui Chiara si riferisce si riconoscono visivamente guardando il post originale N.d.a.]

L’idea di fondo potrebbe essere sostanzialmente buona ma il modo in cui la sviluppi, lascia spazio a diversi aspetti problematici. Una prima ambiguità – vedi parte 2 - è legata al fatto che il protagonista parla in prima persona: il lettore è quindi portato a presuppone che il ragazzo, non potendo realisticamente vedere nella mente di lei, riporti semplicemente delle impressione, delle fantasticherie. D’altro canto, il testo suggerisce la sensazione di essere di fronte ad avvenimenti concretamente avvenuti e non solo frutto della mente del protagonista, quasi come se quest’ultimo fosse dotato di poteri paranormali (cosa non esplicitata). In altri termini: di fatto non ci sono elementi, aldilà della parola del narratore stesso, che assicurano la biunivocità di questo legame e la fondatezza di ciò che viene identificato come “pensieri della ragazza”. Infatti non c’è la certezza di poter escludere di essere di fronte a un trip mentale del protagonista e che quindi egli stesso stia proiettando nella vita di lei la sua vita, i suoi problemi, la sua solitudine.

Il punto è che non riesci a gestire al meglio l’ambiguità, potenziale elemento di forza che finisce invece per ritorcertisi contro, mantenendo il racconto in un limbo informe che non trova il punto di svolta: non intraprendi nettamente la strada del surrealismo (perché letto in questo senso, il testo mancherebbe di scopo –non si regge in piedi infatti la critica alla società-), né quella del trip mentale (perché sviluppi troppe pretese di realismo), né del realismo (perché è troppo elevata la carica onirica). Insomma, il testo non lascia nulla in mano.

Potresti ottenere una maggiore verosimiglianza sostituendo al narratore in prima persona, uno in terza persona, esterno e super partes, che avrebbe quindi il pieno diritto di indagare la mente dei personaggi e potrebbe pretendere di conoscerla a fondo; ma anche in questo caso ti scontreresti con il vuoto di senso generale e in particolare relativo alla terza parte.

Se invece, calcassi maggiormente l'idea del viaggio mentale, arriveresti a un ritratto psicologico del protagonista ben più definito e daresti un senso alla terza parte. Mi sto ri-immaginando tutto così: il ragazzo, solo, insicuro, fragile, abituato all'invisibilità, vede minacciato quell'unico attimo di serenità che lui stesso ha creato. La gente del cinema (simbolo degli Altri, che, per esperienza, il protagonista sa essere spesso causa della sua infelicità -vedi parte2-), come un branco di belve senza volto, lo accerchia con l’intenzione di distruggere il suo attimo immenso.

Ma perché questo silenzioso e discreto contatto dovrebbe risultare al resto del mondo così evidente, così palese e così disturbante da convogliare su se stesso l’attenzione degli Altri solitamente storditi dal menefreghismo? Semplicemente perché è tutto un gioco della/nella mente del protagonista: desideri e paure si mescolano, fondono i lori contorni, diventano le mille facce di una realtà non più univocamente definibile.

Innanzi tutto, questo legame rappresenta per il ragazzo un’illusione di felicità così grande e così fragile da volerla custodire, nascondendola ai suoi nemici. Freudianamente però il terrore di non riuscire nell’impresa lo attanaglia e ciò che ha creato con la ragazza finisce per risultare tanto sfolgorante da non poter non essere notato…un incubo.

Se da un lato quindi questa visibilità è involontaria, dall’altro, però, è il protagonista stesso a voler che la gente noti questo momento, quasi si trattasse di una sfida alla società. Egli infatti sente il suo legame con la ragazza diverso da quelli intrecciati dalle altre persone, più profondo e più vero. In questo attimo trova una sua forma di realizzazione e di riscatto, mettendo in discussione i valori della società da cui si sente messo da parte; valori che da escluso ha sempre e solo visto come superficiali e falsi, quasi a voler sopravvivere al suo isolamento. Una critica sostanzialmente relativa, quindi, e dettata da una profonda frustrazione. Risulterebbe altrimenti superficiale e non ben motivata un’invettiva generalizzata contro la società, banalmente ritenuta incapace di provare affetto sincero. È in questa forma di ribellione che il protagonista trova quasi lo slancio per affrontare gli Altri e combattere per la vita.

Ma poi di nuovo fa capolino la paura – parte 4-, il terrore di vedere negli occhi di lei il rifiuto e la conseguente vittoria dei suoi “nemici”. La conclusione è resa ancora più onirica dal fatto (desiderio?) che sia lei, avvicinandosi, a sbloccare la situazione. Non mi convince assolutamente, però, il dialogo, lo schiaffo e il bacio, schema sentito già troppe volte e sostanzialmente banale. Si arriva quindi al finale e definitivo ritorno alla realtà: le persone spariscono, riassorbite dalle rispettive esistenze, e….loro vissero a lungo,insieme, felici e contenti..sinceramente? ..naaaaaa!!!!

……..nota positiva: l’incipit è spettacolare! Immagino sia la parte più curata…=P Incisivo, diretto, essenziale. In appena due frasi immergi chi lo legge nel pieno dell’azione e soprattutto delle emozioni!

Appena ho un attimo commento qualcos’altro!

Per ora passo e chiudo…=)

domenica 28 febbraio 2010

Fermarsi

A un certo punto bisogna fermarsi.
E' il corpo affaticato che lo richiede.
Si può scappare per molto tempo - spesso per troppo tempo - ma non indefinitamente.
Fermarsi non è un atto di coraggio. E' spossatezza. Ma nella tua mente lo puoi trasformare in eroismo. Per farti tenere compagnia da questo pensiero, per infonderti forza, per convincerti che non sei poi così indifesa di fronte a ciò da cui scappi, e che ora si avvicina. Sempre di più. Il tempo di pensarlo, un lampo, e ti sono addosso.

domenica 14 febbraio 2010

Spezzare gli equilibri

Fu al cinema quando per la prima volta ci esaminammo senza particolare simpatia, ma provando uno strano senso di solidarietà: in quel momento registrammo la nostra rispettiva solitudine.
In fila, tutti stavano a due a due. Coppie di giovani amanti, sposini, genitori figli, nonni con nipoti. Tutti, chi per mano, chi a braccetto, si stringevano gli uni agli altri in quel comune, ma indispensabile contatto. Solo le nostre mani erano libere, sciolte da qualunque legame. Mani da sempre estranee al contatto fisico al punto di rinunciarvi per sempre, preferendo trovar rifugio nelle tasche.
Eravamo soli, consapevoli della nostra solitudine. Fu sofficiente una seconda fugace occhiata, un incrocio di sguardi. Nei suoi spenti occhi, come tra le pagine di un libro, potevo leggere la storia della sua e della mia vita miscelate insieme da una penna impacciata che, mossa da compassione, donava ai suoi personaggi l’unica opportunità di guadagnare spessore. La distanza che seperava le nostre banali vite, venne annientata . Ci legammo l’uno all’altra. Eravamo un tutt'uno.
Attraverso quel contatto seppi tutto di lei. Potei scrutare la sua anima ad un livello così intimo che mi sentii colpevole per aver profanato quei fragili territori che tutti celiamo nel profondo e ai quali impediamo a chiunque di accedere.

lunedì 1 febbraio 2010

Il rapimento

La spia rossa sopra l’obiettivo era accesa, la videocamera stava riprendendo: inquadrava una sedia vuota sistemata davanti al letto di una angusta e sporca camera di motel. La debole luce di una abat-jour posta sul comodino di fianco al letto matrimoniale, ancora perfettamente rifatto, si diffondeva fiocamente nella parte nord della stanza.
Passarono solo pochi secondi quando una seconda luce, più forte, investì la camera illuminando completamente il letto e la sedia. Una mano poggiò una valigetta 24h in pelle nera ed una giacca elegante, appendendola allo schienale. Nulla più si mosse e la totale assenza di rumore la faceva ora apparire completamente deserta la stanza.