domenica 14 febbraio 2010

Spezzare gli equilibri

Fu al cinema quando per la prima volta ci esaminammo senza particolare simpatia, ma provando uno strano senso di solidarietà: in quel momento registrammo la nostra rispettiva solitudine.
In fila, tutti stavano a due a due. Coppie di giovani amanti, sposini, genitori figli, nonni con nipoti. Tutti, chi per mano, chi a braccetto, si stringevano gli uni agli altri in quel comune, ma indispensabile contatto. Solo le nostre mani erano libere, sciolte da qualunque legame. Mani da sempre estranee al contatto fisico al punto di rinunciarvi per sempre, preferendo trovar rifugio nelle tasche.
Eravamo soli, consapevoli della nostra solitudine. Fu sofficiente una seconda fugace occhiata, un incrocio di sguardi. Nei suoi spenti occhi, come tra le pagine di un libro, potevo leggere la storia della sua e della mia vita miscelate insieme da una penna impacciata che, mossa da compassione, donava ai suoi personaggi l’unica opportunità di guadagnare spessore. La distanza che seperava le nostre banali vite, venne annientata . Ci legammo l’uno all’altra. Eravamo un tutt'uno.
Attraverso quel contatto seppi tutto di lei. Potei scrutare la sua anima ad un livello così intimo che mi sentii colpevole per aver profanato quei fragili territori che tutti celiamo nel profondo e ai quali impediamo a chiunque di accedere.

Appresi dell’inesistente rapporto con i suoi genitori: di come non si accorgessero di lei, se non quando la incolpavano di tutti i loro problemi familiari. Appresi che ogni notte desiderava di risvegliarsi altrove l'indomani, ovunque purchè fosse altrove, in un altro mondo, e di come il disgusto si impadroniva di lei quando, di nuovo sveglia, riconosceva la sua solita camera. Appresi ciò che provava entrando in classe, quando osservava il suo banco isolato in fondo all'aula. Quanto imbarazzo gli costava il passare tra i suoi compagni senza che questi la degnassero di uno sguardo. Appresi che aveva smesso di osservarsi allo specchio per paura che persino la sua immagine riflessa potesse un giorno voltarle le spalle e sfumare nel vetro. Appresi tutto questo. Era sola come lo ero io.
Faticavo a respirare. Le mani sudavano e stringevano con forza la stoffa interna delle tasche. Mi sentivo svenire e le orecchie mi fischiavano come se la testa mi si fosse completamente svuotata.
Vivere la sua vita, percepirne il dolore come fosse il mio, fu il mio, stabilì tra noi due un collegamento al quale nessuno poteva sottrarsi. Eravamo in balìa di noi stessi e dell’altro senza potersi liberare, ma, allo stesso tempo, percependo un senso di sicurezza mai provato prima. Scoprire che esisteva nel mondo una persona a cui affidare completamente ogni particella del proprio essere ci donava una nuova speranza.
***
Improvvisamente tutto fu fermo, come fossilizzato nel tempo e nello spazio. Il silenzio, come una lama che fende il vuoto, dissolse in un istante ogni suono e rumore. Le risa che risuonavano come trombe nella hall si spensero. Le voci ammutolirono. Tutto si fece immobile.
Come un unico essere, centinaia di volti si girarono verso di noi con occhi indignati ed accusatori. Tutta l'attenzione dei presenti era catalizzata su noi due e tutto tornava immobile come il soggetto di un'istantanea.
Quell'intimo legame che avevamo stabilito in quell'eterno momento, poneva il loro su un piano inferiore. Tutti i loro gesti di affetto parevano indignarsi di fronte alla nostra arroganza. Ogni coppia si riconosceva in cenni d'intesa e tornava a rivolgersi a noi con nuova e maggiore severità. Dovevamo essere puniti. Voci di bambini sussurravano ad orecchie materne che non potevamo fare così, che i loro gesti innocenti, le loro carezze, i baci, i buffetti, dovevano valere di più. Coppie di anziani spifferavano tra denti ingialliti che il loro amore, duraturo da moltissimi anni, non poteva assolutamente essere ridicolizzato dal nostro così giovane ed inesperto. Le coppiette ci squadravano con disprezzo mentre si prodigavano in volgari baci sul collo, abbracci e palpate di ogni genere per mostrarci come si doveva fare.
Dal corteo si levavano ora voci urlanti: “Chi credete di essere per arrogarvi un tale diritto?”, “Voi non sapete un cazzo!”, “Come vi permettete di screditare la nostra scala di valori, voi che siete solo una misera accezione?”, "Dovrete anche voi adeguarvi!", “Come osate metterci in ridicolo?”
La nostra offesa metteva in crisi un sistema di equilibrio nei rapporti troppo radicato e che non accettava di essere messo in discussione da un unico caso, il nostro, per quanto eccezionale. Mantenere quell'equilibrio richiedeva un'unica soluzione: annullare gli elementi di disturbo.

Non sapevo che fare e rimasi fermo, come paralizzato, mentre venivamo circondati.
Chiusi gli occhi e la mia mente mi ricondusse a tutto il nostro dolore, il mio dolore. Per la prima volta però, dall'oceano di questa malincona, affiorava la possibilità di riscattarmi. Riassaporai il calore che mi offriva la certezza di non essere più solo. Mi sentii, per la prima volta nella vita, disposto a combattere per essa, e non in nome di un io, ma di un noi.
Quando mi voltai verso di lei, immancabilmente sentii che le forze, e tutta la mia determinazione, mi abbandonarono.
Stava immobile, con lo sguardo basso fisso a terra. Le mani si chiudevano in pugni e le braccia in tensione le tremavano parallele ai fianchi. Singhiozzava e le lacrime le rigavano il viso, rosso per la vergogna. La odiai per avermi tradito.
In un lampo mi fu a pochi centimetri e mio fissò con occhi lacrimanti, ma che bruciavano dentro – “Perché mi fai questo? Ti prego, lasciami…” – “Mi dispiace,” – dissi con voce rotta – “ma non posso…” – “Perché?” – “Io ho bisogno di te. Come tu ne hai di me.”. Alle mie parole esitò: per un attimo i suoi occhi assunsero l’espressione più dolce che avessi mai visto e le labbra sottili le disegnarono sul viso un fragile sorriso.
Tutti gli sguardi che ci circondavano, ci forono sopra. Ci ricoprirono come una valanga. Non ci difendemmo nemmeno.
***
Quando riaprii gli occhi tutto era tornato al suo posto. Mi guardai intorno. Ancora qualche persona e avrei raggiunto la biglietteria. Uscii dalla fila ricevendo l'occhiata stupefatta del bambino dietro di me che ora vedeva ancora più vicino il suo traguardo. Non dovetti nemmeno cercarla, sapevo già che direzione prendere.
Deciso, mi avvicinai a lei.
Con delicatezza le sfiorai la mano.

3 commenti:

  1. Mi è piaciuto un sacco... Davvero molto bello! Tranne la cosa tipica dello schiaffo-e-bacio... :)
    Per il resto proprio molto interessante!!

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  2. Bel brano complimenti, Rosmarina non essere troppo severa..
    passate se siete curiosi a leggere il nostro blog ...è un po' particolare....credo
    Apacia apacia apà

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  3. Grazie per essere passato, buona giornata
    Makkekomiko blog! il mio motto per oggi è facciamo la RIVOLUZIONE...

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