lunedì 30 novembre 2009

La vita dentro

Lentamente, nascondendo il volto fino al naso sotto a questa sciarpa rude, ma comunque eccellente schermo contro il freddo pungente di questo dicembre che pare infinito, sfilo dalla giacca interna il porta sigarette. Ci sono estremamente affezionato: custodendolo vicino al cuore ho viaggiato per il mondo, ho stretto mani di persone che mi sono diventate amiche e colpito al volto altre a cui ora sarei disposto a chiedere perdono; insieme a lui sono riuscito ad affrontare questa terribile prigionia che è la vita. Lo tengo in mano e accarezzo le adorate lettere incise sul suo dorso metallizzato, "Per Sempre" dicono.

giovedì 12 novembre 2009

Quando l'interesse e l'impegno sociale sono una colpa...

Mettiamo il caso che un giovane, di età compresa tra i 19 e 27 anni, oggi decida che forse la società e l'ambiente in cui vive, per un motivo o per l'altro, non gli va a genio e decida di impegnare il proprio tempo libero, e pure un po' di quello che già dedica ad altro che ritiene importante (magari gli studi, il lavoretto per mantenerli o quello stabile che gli garantisce un fututo, le compagnie e gli amicizie sempre importanti a questa età, la fidanzata del momento o quella con cui forse passerà il resto della vita), per partecipare e collaborare ad iniziative collettive o individuali, per migliorarli.
Certo, il contributo che potrà offrire nell'immediato non sarà sufficiente abbastanza da portare chissà che modifiche profonde, ma nel suo piccolo lui ci prova, che intanto qualcosa fa e questo basta per sentirsi soddisfatto, lui che fino ad ora non ha mai fatto molto.
Questo nostro eroe ora inizia la sua avventura!
"Che posso fare?" è la sua prima domanda. Apparentemente un ostacolo insormontabile, che non solo non lo demoralizza, ma lo sprona, perché, guardiamoci intorno, di cose da fare ce ne sono un sacco.  Bastano due passi per il proprio paese, chiacchierare due minuti con un amico, che anche lui qualcosa sa come farla e c'ha pure qualche idea non male, un'occhiata di intesa e la collaborazione è stretta, ci troviamo carta e penna, e buttiamo giù due idee, ok? Ok!
Riunione: Cosa non funziona? Beh, questo e quello, lo sai anche tu che così le cose non vanno bene e a me piacerebbe così, anche a me, hai scritto? sì. Cosa manca? Beh ti ricordi quando siamo andati a vedere quella cosa, non sarebbe male averla anche qui, no? No, anzi, allora scrivo. Scrivi. E se pensassimo anche di fare questo? tizio mi ha detto che lì da lui prima non c'era niente e adesso lo vedi che funziona bene, che ci mettono l'anima. Già, anche noi ci mettiamo tutto. E allora facciamolo!
Insomma, come vedete le idee non mancano, anzi, ora i due sono carichi come non mai , stanno finalmente partecipando a qualcosa che è un po' più grande di loro e ciò li entusiasma, forse anche troppo, di sicuro abbastanza da sparare fin troppo in alto, ma sognare non costa nulla e immaginando si parte già bene.
A questo punto i due eroi sanno dove è giusto intervenire, forse alcuni aspetti fondamenteali un po' gli mancano, magari qualcosa se la perdono per strada (anche volutamente per non rovinare la gioia del momento) e tirano dritto, avanti per la loro strada, come un treno che dopo anni di stazionamento finalmente si lancia nel binario giusto.
Forse la cosa sta acquistando più o meno forma, no? Sì, e parlarne con gli altri, lo abbiamo visto, ha fatto bene, tanti si sono pure coinvolti attivamente. Gli amici ora non sono solo la compagnia con cui impegnare le serate, ma anche nuove forze che si uniscono, come piccole gocce che diventano mare, perché in fondo le cose le vedono un po' tutti allo stesso modo e da sempre: sono cresciuti assieme e insieme continueranno, è questa la realtà del paese.
Poco a poco, quello che partiva così, con la semplicità dell'igenuità, se vogliamo, comincia a giocare un brutto scherzo alla nostra compagnia di eroi, che si convince sempre più (osservando meglio le cose e cogliendo piccoli segnali intorno a loro) che la loro generazione farà la rivoluzione, ci vuole solo ancora un po' di tempo e forse la causa per cui si combatte potrebbe diventare qualcosa di più che un'utopica speranza.
La percezione della loro inaspettata presenza nel bucolico paese, che inizialmente aveva suscitato interesse  e curiosità nella loro gente, presenza a volte vista con sincera ammirazione, altre volte meno, ora sembra essersi un pochino modificata, alterando un po' la sua forma e passando prima dal disinteresse (che magari abbassano i toni, o si stancano e insomma la smettono) al bisogna intervenire e "fare qualcosa".
La partecipazione, scoprono i nostro novelli, inevitabilmente finisce per pestare qualche piede e comunque meglio prevenire e non dargliene l'occasione, ché farsi beccare con le brache calate non piace a nessuno, soprattutto se poi bisogna dire "si sta quasi più comodi senza". Prova te a far capire loro che no, non sono interessato a soffiarti il posto, a screditare te e la tua politica; che no, non voglio nemmno fare quello che faccio per ottenere un riconoscimento che vada oltre l'apprezzamento per l'impegno che ci metto e cazzo, stai sicuro che ce ne metto un sacco; che puoi pure stare tranquillo che non ti remo contro come pensi ecc,  ma tanto non capiscono, è tutto inutile. E non pensate invece che quello per cui combatto debba in qualche modo favorirvi mettendovi belli belli sotto un riflettore: non voglio seguirvi, non l'ho mai fatto, chi o cosa vi ha indotto a pensarlo? Vuol dire che non mi avete capito dall'inizio, o che non ci avete nemmeno voluto provare!
Ecco, gli eroi sono costretti a subire quel processo che prima o poi tocca a tutti quelli che lasciano intendere di non voler essere ammaestrati, che non c'è un bastone che faccio meno male di un altro, e che nemmno cambia a seconda dalla mano che lo impugna; e così la causa ha inizio come pure la messa a morte.
In fondo la colpa è stata di quel giovane, ma che ci può fare se ogni tanto anche a lui piace sognare, e quanto bello è pensare di poter svegliarsi e sapere che non solo è reale, ma che se lo è lo è anche per merito proprio! Forse è stato il suo egoismo, la sua integrità che non gli ha permesso di sporcarsi almeno un po' le mani con il marcio che c'è e che tutti si aspettano uno condivida con loro, a rovinare tutto, ma che volete?, a lui piace essere libero, non migliore, ma libero di adattarsi all'ambiente che preferisce e di modellarlo per starci un po' più comodo. Purtroppo però oggi è tutto etichettato o etichettabile, e di conseguenza strumentalizzabile, anche la libera espressione, e se questa malauguratamente non coincide con la loro, la colpa è solo di chi la professa, perchè forse non ha capito come vanno le cose e, se lo ha capito e ha combattutto per cambiarle, sta sicuro che lo ha fatto per i suoi interessi e non per i nostri o per i loro.
L'unica cosa che resta è il sogno, almeno in quello non solo si può partecipare, ma si è chiamati a farlo!

domenica 8 novembre 2009

Io, Il Giongo, Lapis, una minestra ed un gatto

Ciò che mi accadde quel giorno ha qualcosa di incredibile e devo dire che ancora adesso mi tremano le sopracciglia, ma cominciamo dall'inizio...
Quella maledetta minestra pronta in 5 minuti, con i suoi pezzetti di verdura ancora bollenti, mi ustionò completamente lingua e palato: sarà stata una cosa da quarto o quinto grado minimo! Urlante Il Giongo e Lapis mi spallozzarono fino alla macchina, solo dopo però avermi infilato in bocca un pezzo della gamba della sedia, staccato con un calcio di taglio assassino, incastrandomelo con mano chirurgica (Giongo è becchino!) in modo da impedirmi di chiudere la mandibola, e garantendomi così una completa aereazione dell'intero apparato masticatorio.
Ricordo ancora perfettamente la corsa in ospedale. Lapis, dopo aver avviato con una testata al cofano della macchina, la sua Ape 5 posti (aveva saldato un portapacchi in amianto sul tettuccio per efficentare il trasporto delle zucchine), ingranò la retro e partì in quarta (?) verso il "San Gabriele Apostolo Caduto Nella Guerra Infernale Evidentemente Persa", mentre Il Giongo, una volta estrattili dal portaoggetti, mi ingozzava, infilandomeli con la mano intera nelle aperture laterali tra la ex gamba della sedia, ora crick infernale, e le mie labbra sempre più sottili, con quei cubetti di ghiaccio (garantivano la freschezza delle zucchine) che si scioglievano al minimo contatto con la mia lingua ardente, evaporando all'istante. Non riuscivo nemmeno ad urlare poiché la bocca mi si riempiva immadiatamente di acqua, e intanto i vetri della macchina si appannavano sempre di più per la condensa, tant'é che Lapis fu costretto a ricorrere ad una seconda testata per sfondare il parabrezza che, ormai completamente appannato, impediva di vedere qualcunque cosa.
La corsa fu sfrenata: ad ogni curva, per la velocità sostenuta, Lapis finiva per occupare la corsia opposta, sicché alla fine decise di correre sulla corsia che lui definiva "di emergenza", ma che altro non era che il marciapiede. Per evitare continue tragedie familiari investendo mamme, papà, nonni, bambini o animali da passeggio, Il Giongo dovette ricorrere al suo poderoso fischio, decisamente fastidioso e potente, che dai e dai, a forza di produrlo, lo meccanicizzò e ritmicò inconsapevolmente, facendolo corrispondere ad ogni manciata di ghiaccio che mi spingeva in bocca. Tale richiamo Tarzanesco stordiva per pochi istanti i passanti paralizzandoli per quei pochi istanti che permettevano a Lapis di schivarli con manovre a zig-zag e, dalle successive interviste televisive fatte ai malcapitati è emerso che non solo cadevano in una sorta di coma apparente, ma dimenticavano addirittura quello che stavano facendo collezionando piccoli vuoti di memoria ad intervalli regolari (come pure era il fischio)!
Problematica si rivelò la necessità di trovare parcheggio una volta giunti a destinazione. Fu così che quei due improvvisati paramedici decisero di parcheggiare direttamente in sala operatoria, sfruttando un marciapiede scosceso come rampa di lancio, per proiettarsi direttamente al primo piano, sfondando le vetrate e risvegliando dal coma 2 terzi dei pazienti in sala, facendo gridare al miracolo i medici che da anni li tenevano in cura (purtroppo per l'altro terzo si ottenne invece l'effetto contrario...).
Ancora urlante, e con entrambe le mani spezzate (Il Giongo dovette intervenire quando cercai di sfilarmi di bocca il crick infernale), fui deposto sul lettino e scortato d'urgenza nel reparto grandi ustionati dell'ospedale. Sfortunamente nonostante tutta la fatica fatta, a Lapis e a Il Giongo non fu permesso di assistere durante l'operazione, ma in compenso molte famiglie chiesero la loro collaborazione per convincere alcuni capi-reparto restii ad assicurare le cure a certi pazienti. Inutile dire che il loro aiuto si rivelò efficacissimo e ancora oggi ricevono a casa omaggi floreali, scatole di cioccalatini e biglietti per entrate gratuite ad importanti eventi mondini, dai familiari dei pazienti o dagli ex-pazienti stessi.
19 ore dopo finalmente fui dimesso. Venni accolto con entusiasmo, pacche sulle spalle, colorosi abbracci, baci e manette.
Fui arrestato per i danni creati alle infrastrutture stradali e persi qualche causa a fovore di alcuni passanti che, privati di quei pochi secondi di memoria durante il mio trasporto in ospedale, subirono un qualche danno morale (D.L. che dimenticò l'appuntamente tanto sofferto con quella che lui definisce "la più bella donna al mondo" e che ora non lo vuole più vedere: 4.500 €) o materiale (M.P. in particolare dimenticò, a causa del fischio, di ritirare una schedina vincente da 23.865 euro, che inutile dire, quando ricordò di aver avuto in tasca era già stata lavatricizzata e resa illeggibile).
Quanto e me devo dire che i medici hanno fatto un ottimo lavoro: solo la mia sensibilità percettiva è rimasta un po' alterata ed ora ho qualche difficoltà nel distinguere il gusto umami, ogni volta che mastico, la mandimola emette un rumoroso clack, forse a causa del gamba di sedia e forse non suonerò più il piano, ma i medici assicurano che in un paio d'anni le cose dovrebbero sistemarsi completamente.
Insomma tutto a posto...e invece no, manca ancora il gatto! Sì, esatto, manca quell'animale infernale da 13 chili, senza contare i baffi. Mentre tornavamo al quartier generale, dopo aver spinto faticosamente a mano giù dalla finestra del primo piano l'Ape, dato che per quanto insistente Lapis non riuscì a convincere il direttore a farci usare l'ascensore, ridavamo dell'accaduto, anzi, loro direvano, perchè io non riuscivo nemmeno ad articolare la lingua.
Parcheggiammo e ridavamo, salivamo le scale e ridavamo, aprivamo la porta e stavamo in silenzio (non so perché), la chiudavamo e ridavamo. Ridavamo così spensierati che non ci rendavamo conto che qualcosa di terribile stava per accadere. Entrammo in cucina e ce ne rendemmo conto.
Era lì, ci osservava con i suoi occhi diabolici e con i suoi baffi criminali, mentre noi, immobili, ancora non riuscivamo a concepire come una cosa del genere potesse essere possibile: il gatto stava scaldando con una fiamma ossidrica di origine gattesca (come portachiavi aveva un piccolo gomitolo di lana. N.d.r.) la mia minestra ancora intatta dal pranzo, e noi avevamo appena rovinato il suo piano.
Smise di puntare la fiamma contro la minestra, e la sfruttò per accendersi una sigaretta, sfilata con cura dal pacchetto di Lucky Strike che era sul tavolo. Fece un tiro, ed espirò facendo uscire lentamente il fumo attraverso le zanne, tenendo chiusi gli occhietti come se si godesse l'aroma del tabacco, poi si rigirò la sigaretta tra le dita e la spense sul tavolo.
Noi lo osservavamo e intanto nelle nostre menti le domande si accestallavano una sull'altra, ma tra tutte solo una venne contemporaneamente espressa a voce alta da tutti e tre: "Dove hai trovato quel portachiavi" (anche se io in realtà avevo mugugnato qualcosa del tipo: 'Ove hai trofato huel portahiavi?).
Il gatto ci osservò con disprezzo e rigirò il mozzicone spento spremendolo sul tavolo come un'arancia, se lo gettò dietro con fare di sfida, poi si girò e si accinse a saltare sul balcone della finestra. Contemporaneamente Lapis fece per fare uno scatto verso il felino per ucciderlo con una testata (eh lo so, ma Lapis è uno che le cose le fa ragionate), ma il gatto voltò il volto (scusate la ridondanza) e lanciò uno sguardo che lasciò Lapis interdetto, fece una risata e spiccò un agile balzo. Stava per atterrare silensiosamente quando io mi voltai verso Il Giongo e, con un cenno di intesa, quasi un lampo, gli comunicai telepaticamente che forse un nuovo taglio di capelli non avrebbe guastato e che era il momento di usare il suo super potere. Il Giongo colse, come sempre, e arricciando le labbra per inumidirle con la lingua, e divaricando le narici per tirare il fiato, rimpì i polmoni, che per la quantità d'aria inspirata diventarono 4, e la scaricò in un fischio tale che la città si ammutolì per 2 minuti e 17 secondi (fu allora che "Il Millennium Bug" smise di essere considerata una stupida psicosi). Il fischio raggiunse alla velocità della luce le sensibili orecchie del gatto, penetrò nel corpo dell'animale e in un istante lo disintegrò facendolo esplodere con un simpatico "Puf"!
Tutto era finito. Ci guardammo e scoppiammo in una fragorosa risata.
- Che cavolo ti è successo? Perchè cavolo sei ridotto così? - Fece Lapis piegato dalle risate. Io che non ricordavo nemmeno l'ustione alla lingua rimpiansi immediatamente di aver esclamato - Hè ne fò!
Il Giongo, intanto, si era avvicinato alla tavola e aveva preso posto di fronte al piatto. - Ragazzi, qui è pronto il pranzo! - Impugnò saldamente il cucchiaio storzandolo come sempre faceva senza riuscire a controllare la sua forza ditale, lo immerse nel liquido che ancora ribolliva, lo riempì completamente, lentamente se lo appoggiò alle labbra, lo osservò dubbioso come se qualcosa da lontano gli dicesse che quello che stava per fare era sbagliato, ma era un qualcosa di troppo lontano; e fu allora, guardando dei peli neri che ancora fluttuavano in aria per adagiarsi al pavimento formando una macchia nera, che ricordai tutto, come un lampo: l'ustione, la corsa in Ape, l'operazione, il gatto, il gatto con la fiamma ossidrica, il gatto che fumava, il gatto che esplodeva; ricordai ogni minimo dettaglio, ma ormai era troppo tardi: Il Giongo aveva ingoiato. Il Gongio era spacciato!
Io caddi in ginocchio...
Il Giongo chiuse gli occhi. Pensai alla sua trachea sciolta che gocciolava lentamente nello stomaco mentre come un acido la minestra lo corrodeva dall'interno, fino a sbucare a mo' di fontanella dalla pancia e bagnare il pavimento, solo per continuare ancora a scavare fino al piano di sotto.
Accadde invece qualcosa di inaspettato: Il Giongo si alzò, sbarrò gli occhi, li puntò su di me e disse - Questa minestra è...eccezionale! - Ma è ovvio, - gli fece subito eco Lapis - è fatta con le mie zucchine!



giovedì 5 novembre 2009

L'unica scelta

“Immaginate ora un uomo vittima del Pensiero; di un quell’unico irresistibile pensiero che giorno dopo giorno si fa sempre più insistente; pensiero che muta in ossessione e che si sostituisce ad ogni altro; pensiero che si fa carnefice e che concede alla sua vittima la sola consolazione di non essere più lasciata sola; pensiero che come un cancro si impadronisce della mente del pensatore, ed insieme ad essa del suo corpo e della sua vita…
Ma se ora, quell’uomo, compisse l’unica scelta possibile: deporre le armi ed inginocchiarsi davanti al suo terribile avversario, decidendo di rimettersi al suo volere; se questo uomo si immolasse come l’agnello sacrificale conscio della sua scelta; se fosse lui ad imboccare quella strada verso la perdizione; non manterrebbe forse quel piccolo dominio su se stesso, ed insieme ad esso la possibilità di salvarsi?
Immaginate…”