mercoledì 29 settembre 2010

La sveglia

Esattamente alla solita ora da cinque anni a questa parte, la sveglia si scatena. Ogni santo giorno mi tormenta con quel suo fastidiosissimo trillo, ed ogni santo giorno mi riprometto di disfarmene. Arrivo persino a minacciarla verbalmente: “Questa me la paghi, stronza!” le urlo contro, ma lei resta lì, immobile ed insofferente ad ogni lamentela ed insulto. Sembra quasi fissarmi con aria di sfida. So che ci prova gusto e per questo la odio.
LA ODIO. Odio con tutto me stesso ogni singolo ingranaggio che compone i suoi diabolici meccanismi.
Il quadrante è insignificante: completamente bianco, non presenta traccia di un qualunque, anche del più misero, tentativo di abbellirlo. Non un disegno, una scritta. Niente. Non riporta nemmeno i giorni della settimana. Ci sono solo le lancette. Come due sottili frecce nere impegnate nel perenne inseguimento di una dell’altra e destinate a vedersi beffare ogni volta che si sovrappongono solo per riallontanarsi, la lancetta dei minuti e quella dei secondi quasi non si distinguono l’una dall’altra. Quella delle ore, invece, è tozza e rossa come il sangue. Tronfia si muove in circolo senza badare alle altre due, consapevole che è lei a fare la differenza: è da lei che l’allarme riceve ordini ed attende un suo segnale per scattare.


Eppure quella sveglia non posso buttarla, né sostituirla. Non posso fingere di colpirla accidentalmente e farla cadere a terra in pezzi. Non posso evitare di cambiarle le batterie quando si scaricano, e nemmeno chiuderla in un baule aspettando che si ossidino irrimediabilmente. So che non possederò mai una sveglia che si connette ad una stazione radio e che mi svegli con della buona musica, e tantomeno una di quelle digitali così comode da regolare e che funzionano allacciando la spina alla presa elettrica.
Lei resterà la mia sveglia per sempre e farò di tutto perché il suo soltanto resti il trillo che mi sveglia ogni mattina, per quanto possa odiarlo.
Presi la sveglia ad un mercatino dell’usato che alcuni bambini della strada in cui vivo avevano allestito. Passavo con la macchina e le bancarelle sfilavano riflesse su entrambi i finestrini.
Ad un tratto, inaspettata, sbucò una bambina che, nel tentativo di farmi accostare, si lanciò in mezzo alla strada agitando le braccia. Chiusi gli occhi ed affondai i piedi sul freno. Inchiodai. Quando riaprii gli cocchi lei stava in piedi di fronte a me. Era incolume. Sorrideva. Non si era nemmeno resa conto dell’accaduto. Fu un miracolo.
Io rimanevo nell’abitacolo, paralizzato: stringevo il volante e trattenevo il fiato.
La bambina bussava al finestrino, mi chiamava, voleva che scendessi assolutamente. Quasi automaticamente smontai dalla macchina. Non sapevo se darle uno schiaffo o stringermela forte al petto. Ero sotto shock.
La piccolina mi afferrò per la giacca e mi trascinò verso la sua bancarella. “Venga a vedere, signore! Guardi che belle cose! La prego, compri qualcosa, costa tutto pochissimo! Guardi, guardi! La preeeego!”.
Non riuscivo a parlare. Vedevo e rivedevo, come al rallentatore, quel suo dolce viso avvicinarsi fino a sfondare il parabrezza, per poi bloccarsi sanguinante a pochi centimetri da me. Il suo volto sfigurato in una maschera di dolore: gli incisivi superiori erano rotti e l’occhio sinistro penzolava fuori dalla sua sede naturale. Una ciocca bionda, raschiata via, sanguinava incollata ad un frammento di vetro ancora attaccato del parabrezza. Le scarpette, sfilatesi per l’impatto, atterravano ad alcuni metri di distanza dall’auto.
Tremavo.
A distogliermi da quell’orribile visione fu proprio la bambina. Mi chiamava “Ehi, Signore! Allora? Compra qualcosa o no?”
Insisteva così tanto che non potei rifiutare. Glielo dovevo.
La bambina, tutta emozionata, mi elencava uno per uno gli oggetti del suo mercatino, ma io non l’ascoltavo, non la sentivo nemmeno. Il pensiero che la frenata potesse arrivare con un secondo di ritardo ne annullava ogni altro. E’ stato un attimo. Un attimo ha permesso che quella terribile tragedia venisse evitata. E fu quell’attimo che volli celebrare comprando dalla bambina la sveglia bianca, con le lancette dei minuti e dei secondi che non si distinguevano e che produceva un terribile trillo quando regolavi il timer. Quella sveglia mi avrebbe ricordato quanto ogni singolo momento, ogni istante della vita possa fare la differenza.

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