venerdì 23 ottobre 2009

Scrittura non creativa

Oggi... sempre... mai... quando... voglia... attengo... persone... parlano... fumano... vivono... scopano... briciole... vento... polvere... partire... lasciare... spesso... fino... magro... anoressia... malattia... cancro... polmoni... sigaretta... cartine... fumo... rollare... canna... droga... legalizzazione... leggi... parlamento... sovranità... democrazia... regime... regno... sudditi... rabbia... rivoluzione... guerra... dolore... ingiustizia... princìpi... idee... pace... meditazione... riflessione... pensiero... poesia... armonia... perfezione... ottimo... valutazione... esame... studio... conoscenza... sforzo... riposo... letto... calore... sogno... incubo... paura... angoscia... disturbante... rumore... lavoro... stress... fatica... soddisfazione... serenità... gioco... regole... impegno... squadra... amici... sostegno... scoglio... mare... onde... infinito... spazio... costellazioni... stelle... vip... banalità... fastidio... televisione... accesa... spenta... nero... umore... animo... spirito... alcool... fuoco... passione... amore... sesso...

sabato 17 ottobre 2009

Aforisma 1

Se tutti la pensassero come me, avrei molto da ridire.

Due chiacchere

Ciao, come va?
A cosa ti riferisci?
Niente in particolare, era solo un modo per buttare lì una cosa, per fare due chiacchere...
Adesso sei contento?
Come?
Dico, adesso che possiamo dire di aver fatto due chiacchere, ti senti contento? Sei soddisfatto?
S-sì, credo...
Quindi tutta questa conversazione è stata inutile?
Perchè devi fare così?
Così come?
Così!
Ah, intendi dire perchè devo dimastrare quanto sia patetico il silenzio tra due persone e di quanto lo sia altrettanto ogni futile tentativo di venire fuori dall'imbarazzo di quel silenzio? Intendevi chiedermi che senso aveva rispondere "così", al tuo sensato tentativo di dimostrare che è impossibile per due persone sentirsi sole quando si sta a 2 metri di distanza?
Cercavi forse, con parole così vaghe, di intavolare un qualsiasi discorso superficiale che ci avrebbe inevitabilemente condotto a riflettere su questioni più profonde del "quanto sopportiamo le nostre vite in questo momento", mettendo a nudo i nostri pensieri più intimi e riflettere sulle nostre esistenze?
B-beh...io...
Perchè se era questo che intendevi...
?
...non mi va tanto bene...

giovedì 15 ottobre 2009

Memoria

Mi manca il cielo, chi lo avrebbe mai detto.
Mi manca la palla infuocata che sprigionava tutto intorno a sè il suo animo luminoso in grado di scaldarmi la pelle e il cuore.
Mi manca la nuvola che quando alzo lo sguardo per quel singolo istante, nasconde il sole dietro lo schermo dei suoi sbuffetti dolci per il tempo necessario a distogliere lo sguardo per non rimanere abbagliato.
La nostalgia che ho della pioggia e del vento umido mi paralizza al solo pensiero: è un'estasi inginocchiarsi in mezzo al nulla, spalancare la bocca e placare la mia sete, goccia dopo goccia, con quell'acqua che cade, un po' dolce e poi più forte fino a pungermi la pelle come milioni di agni freddi, mentre il vento mi culla e mi scompiglia i capelli affettuosamente.
Non trattengo le lacrime se riporto alla memoria il morbidìo dei fili d'erba su cui amo giacere e che giocano ad entrare in ogni minima fessura, solleticandomi e prudendomi, ma senza procurarmi il minimo disturbo.

Muoio se penso a lei...
l'infinito dei suoi occhi è il mio cielo, il tepore del suo corpo il mio sole
I suoi capelli le dolci nuvole che nell'abbraccio nascondono i miei occhi sopra le sue spalle
La sua saliva è la mia acqua e le sue mani il vento benefico che mi accarezzano come un'amante
I suoi baci ogni filo d'erba del giardino fatato in cui non sono più solo

Tutto posso perdere perchè tutto la memoria mi riporta alla mente, ma lei mi è indispensabile e se la perdessi diverrebbe la memoria la mia peggior nemica, aguzzina e torturatrice...

martedì 13 ottobre 2009

lunedì 12 ottobre 2009

Un sogno...

Stanotte ho fatto un sogno triste. Mi capita spesso ultimamente. Sarà per il troppo caffè, ma non riesco a rinunciare a quell’aroma amaro e deciso che mi ricorda, ad ogni breve sorso caldo, quello che non sono.
La giornata era bellissima, una di quelle giornate autunnali che non si sono dimenticate dell’estate appena trascorsa e che, con il loro cielo terso sgombro di qualunque nuvola, ancora riscaldano abbastanza da permettere ad un intero bucato di asciugarsi al sole, risparmiando una notevole fatica ad ogni brava madre o single che abbia l’iniziativa di stendere i panni la domenica.
Santino, un nome come un altro per ogni buon cristiano, ma dal primo giorno di scuola elementare profondamente odiato dal suo proprietario, trascorreva questa bella giornata seduto al computer, concentrato nel destreggiarsi abilmente al videogioco del momento. Vinceva, si divertiva, ma sentiva freddo.
Suo fratello, minore per età, ma molto più maturo e intraprendente di carattere, suonava la chitarra in camera senza troppo preoccuparsi delle note mancate e dondolando su e giù, a destra e a sinistra, la testa, seguendo il ritmo del suo spartito mentale.
E così la mattina passava velocemente per entrambi. Forse un po’ meno per la madre che, poveretta, la trascorreva tra detersivi e stracci, pulendo a fondo casa, non avendo il tempo per farlo durante il resto della settimana. Anche nel giorno in cui il Signore si prese una piccola pausa, lei lavora. Lavora duramente lei, sempre. Lavora per se stessa, per i figli e per tutta la famiglia. Fa tutto e non esagero nel dire che con tutti i suoi sforzi, lei sola regge sulle spalle l’intera famiglia, magari non economicamente, a quello ci pensa il marito, ma tutto il resto su cui questa piccola grande società si basa.
Il sogno ora sembra un attimo offuscarsi e sbiadire come un dipinto a tempere sul quale viene lentamente versata a poco a poco l’acqua di un bicchiere. Il soggetto rimane sempre lo stesso, ma la sensazione di pace che trasmetteva prima si affievolisce: le pennellate un poco si mischiano tra loro, i contorni, non più tanto netti, perdono la loro linearità e contemporaneamente la loro capacità di distinguere le forme, i colori sono ora un po’ più freddi e anche la luminosità lascia posto ad un più malinconico effetto di intorpidimento.
Ora la famiglia non sembra più così felice. Il freddo si fa sempre più strada e attacca Santino alle mani e ai piedi costringendolo ad abbandonare più volte il suo gioco per strofinarseli e scaldarseli solo per soffrirne ancora di più una volta terminato il breve trattamento. Anche Marco sente freddo alle dita e questo lo impaccia nell’esecuzione: le corde non sono più pizzicate bene come prima e l’effetto non è più così piacevole a sentirsi e, nonostante la testa perseveri nei suoi movimenti ondulatori, i lineamenti del volto che prima esprimevano armonia, ora vengono deturpati dalle strizzate d’occhi e dagli arricciamenti delle labbra ad ogni errore commesso. La madre invece è fuori in cortile a raccattare stancamente i panni stesi, che rischiano, per la troppa umidità e l’improvvisa sparizione del sole dietro a qualche nuova nuvola, di dover subire un nuovo lavaggio.
Ora siamo nella cucina, all’ora di pranzo. Il pasto è servito e, come al solito, inizierà in assenza del padrone di casa, che pranzerà un po’ più tardi dopo essere rientrato dal lavoro. In casa c’è di nuovo pace. Si mangia e si scherza con facilità quando si è solo noi tre. L’aria di complicità purifica la stanza e sostituisce la malinconia che ti assale se provi a guardare il cielo troppo bianco.
Il rumore del motore, ormai immediatamente riconoscibile, precede il suo arrivo, ma questa strana nuova sensazione si fa più pesante una volta che dalla finestra si vede arrivare la macchina che entra direttamente dal cancello, precedentemente aperto, e imboccare il vialetto di casa.
Si aspetta ancora un poco, senza sollevare le posate dal piatto e una volta che lui entra si sentono mormorare dei tenui “buongiorno”, tranne la mamma che tiene un tono leggermente più alto, e che sembra quasi troppo forte in mezzo a quel silenzio imbarazzante.
E poi succede, lui si mette a tavola e non è più come prima. Ora si ascolta per davvero la tv, ci si finge interessati o ci si interessa sul serio. Le pietanze preparate non sono più buone come prima, ora servono solo a riempire lo stomaco. Le posate improvvisamente hanno smesso di far rumore, non si appoggiano nemmeno più, sfiorano il tavolo e infilzano delicatamente il cibo. Nemmeno i bicchieri si riempiono più fino all’orlo, ci si limita a versare quel tanto di acqua, anche solo un goccio, che ti serve per toglierti la sete, nonostante il palato rimanga asciutto.
E finiscono così il pranzo, la cena, tutti i pasti di tutti i giorni. Ci si alza da tavola e si va a lavarsi i denti, senza preoccuparsi se c’è chi ancora deve finire. Una volta alzati dalla sedia si è finalmente liberi e basta solo aspettare che anche lui finisca, perché una volta finito, si alzerà e si andrà a chiudere nel salotto o in camera per i fatti suoi, e allora si potrà ricreare nuovamente l’atmosfera andata perduta per quei 20 minuti, e che durerà tra noi tre nonostante le immancabili sue incursioni in cui ci intima di abbassare il tono della voce, o di ridere più piano, perché non riesce a seguire la tv e se ne andrà sbattendo tutte le porte che lo separano da noi…ma in fondo questo ci allieta.

E’ così che il sogno finisce.
Decido che posso finalmente alzarmi dal letto su cui ho passato disteso tutto il pomeriggio cercando di distrarmi e pensando ad altro per non sentire loro che parlavano a voce troppo alta, perché la cosa potesse sembrare solamente quotidiana. Devo essermi addormentato…
Vado in cucina e trovo la mamma che piange, “se ne è andato!”, mi dice, “ora siamo solo noi tre…!”.
Io mi volto, un sorriso si allarga sulla mie labbra.
“Spero che questo non sia un sogno”, ripeto tra me.

Confessioni di una mente ingannata

Che gioia…
Lo dico davvero e lo ripeto: Che Gioia!
E invece no…
Ormai non riesco più a capire nulla. Qualunque stimolo mi è completamente indifferente e niente, proprio niente è più in grado di tirarmi fuori da questo pozzo nero nel quale spanna dopo spanna mi sono calato…
Sto male, sto bene; non riesco più a capirlo. La mia mente è vittima di una confusione che neanche la stanza di un adolescente disordinato: è piena di oggetti, di ricordi, di sogni, di aspirazioni, di dolori…soprattutto di dolori…ma non è più possibile riordinarla, ormai tutto è fissato, bloccato nel suo spazio e ricoperto dal proprio strato di polvere; e io non me la sento di spostare nulla, anche solo di spolverare, perché so che mettere le mani in certi posti può rivelarsi molo doloroso.
Non riesco a spiegarmi, non so nemmeno cosa voglio dire. Quello che so però è che non posso fare altro che continuare, continuare a farmi del male.
Devo essere scemo, non ci sono altre spiegazioni! Devo essere uno scemo per non riuscire a comprendere anche io quello che così istintivamente hanno capito tutti gli altri per essere così diversi da me…Perché non posso essere anche io come loro? Perché per una volta non posso stare come stanno gli altri e smettere di essere me stesso?
Perché?
Odio il modo in cui questa terribile domanda “Perché?” possa essere posta all’infinito!
So benissimo che tutti hanno i loro problemi, i loro momenti bui, eppure sono convinto che nessuno li viva come li vivo io, e allora perché io non posso soffrire come loro?
Devo essere di certo impazzito! Questo continuo e terribile sentimento di frustrazione deve aver condotto la mia mente in un luogo malsano, in una zona paludosa, ed ora non sono più in grado di ritrovare la strada che mi ci ha condotto, perché da persona stupida quale sono non ho prestato attenzione nell’individuare o nel lasciare lungo il triste cammino dei punti di riferimento (chessò, magari seminando briciole di pane, oppure incidendo la corteccia di qualche albero). Sempre più oggi invece mi sto convincendo di non aver intenzionalmente prestato attenzione, perché inconsciamente io volevo perdermi, raggiungendo ad occhi serrati un luogo dal quale difficilmente sarei riuscito ad uscire…e devo dire di esserci riuscito: missione compiuta?
Ma chi voglio prendere in giro? La risposta la conosco: Me stesso!
E’ tutta la vita che lo faccio, da sempre l’unico obiettivo che la mia mente, aiutata dall’immaginazione, si è proposta, è stato quello di mentire, di mentire a l’unico essere al mondo che conosceva la verità: Io. E’ un concetto estremamente difficile da spiegare ma cercherò di farlo, e forse questo mi aiuterà a migliorare la mia situazione, o a peggiorarla ulteriormente, a seconda di chi io sia in questo momento…
Io non esisto più, di questo sono convinto (lo so!); forse un tempo sì, magari fino ai 10 anni, ovvero di quel periodo di cui ormai, lo giuro, non ricordo quasi nulla: a voi sembrerà incredibile, ma io se provo a pensarci, anche intensamente, non ho praticamente nessun ricordo del mio io fisico ed emotivo, a parte qualche flash! Lo so, vi sembrerà assurdo, ma ogni volta che penso a me da piccolo mi vengono in mente solamente le parole con cui i miei familiari mi descrivono o le solite 3 o 4 foto che vedo costantemente girovagando per le stanze di casa mia; per il resto sono solo istanti, piccoli estratti emotivi, sensazioni legate a qualche cosa che mi è capitato di cui mi sono oscure le dinamiche. Mi rendo conto che questa possa ricordarvi la trama di un banale film, e di certo il cinema ha influenzato non poco la mia vita, forse più di quanto io (?) non sia disposto ad ammettere, ma quello che provo ora è come fosse in risultato di un tentativo di intrusione da parte di una qualche forza, che ha rimaneggiato con i miei ricordi e che ha fatto casino; solo che mentre il cinema ci ha abituato, con le sue trame fantascientifiche, all’idea che queste intrusioni fossero opera di altri, magari camici bianchi senza scrupoli, demoni infernali o chissà che altro, nel mio caso, sono convinto di conoscere l’identità di questo maledetto invasore: un tale che risponde al nome di Mattia Gazziero.
Sono stato io che con la mia immaginazione sono arrivato a scavare così a fondo dentro di me per capirmi e comprendermi, da realizzare di non piacermi, e che poi, come un restauratore senza scrupoli, o uno speleologo che dopo aver fatto la scoperta del secolo la vuole tenere solo per se privandola a tutti gli altri, quando è arrivato il momento di tornare in superficie ha preferito modificare la conformazione naturale delle mie celluline cerebrali a suo piacimento e diletto.
Sono sicuro che deve essere stato un lavoro piuttosto duro (anzi, sono convinto di non aver mai lavorato tanto in vita mia), in quanto in questa opera di ristrutturazione ho compreso come non fosse sufficiente semplicemente modificare le cose, ma fosse altresì allo stesso tempo necessario fare in modo che il processo non si esaurisse lì, ma continuasse indipendentemente per il resto della mia esistenza…
…e così è stato!
Ha funzionato: io che non volevo più vestire i miei panni ho trovato il modo di ingannarmi, di prendermi gioco di me stesso consapevolmente (come se fosse possibile) e di costruirmi da zero un nuovo modo di pensare (perché cosa siamo noi se non pure pensiero e la considerazione che abbiamo del nostro io interiore?). Il risultato è che ora in qualunque ambiente io mi trovi, qualunque scelta io mi trovi ad affrontare, qualunque situazione mi si pari davanti, il mio modo di agire è finto, falso ed è, per concludere, sempre il risultato di una decisione finto-istintiva, subordinata a quella che mi piace identificare come una magnifica cattedrale di bugie autoimposte, sorretta da solidissime fondamenta che poggiano su quello che forse un tempo ero Io e che ora è “nulla”…ecco come mi immagino: come cattedrale, una gigantesca cattedrale, realizzata dal miglior architetto del mondo, la mia immaginazione, che soddisfa tutte le possibilità (materiali di costruzione, stili architettonici, decorazioni, stucchi, ecc), ma che galleggia, come sospesa, in uno spazio infinitamente vuoto, orbitando intorno ai numerosi villaggi-persone che le capita di incontrare sul proprio cammino, magari decidendo ogni tanto se diventare o meno la cattedrale di qualcuno di quei regni, ma senza offrire nulla di più che la sua presenza aleatoria ed inutile…
…questo io sono, e nulla più.
Penso che questo viaggio alla ricerca di me stesso in qualche modo possa avermi aiutato: capire di essere così è un primo passo verso…verso cosa? L’ennesima bugia o finalmente la verità? Questo non lo so, ma ho capito che nel profondo la mia più grande paura ormai è solo questa domanda:
Come posso riconoscermi?...
…alla quale subito ne è legata una seconda:
E se tutto questo viaggio interiore in realtà non fosse solo che un altro tentativo di inventarmi?